A riveder le stelle
Difficile porsi una domanda più oziosa e sterile, come quella d’interrogarsi se una grande pagina letteraria sia attuale o meno, pulsante e viva, capace di parlare agli uomini di oggi e forse di domani, per il semplice fatto, appunto, che un capolavoro non ha tempo, si muove oltre la storia, in una dimensione sontuosa e magica, metafisica, quasi religiosa: cioè, per il semplice fatto – ci suggeriva Leopardi nello Zibaldone – che c’è un punto in cui l’infinitesimo tocca l’infinito, indagare nella profondità dell’io corrisponde a visualizzare l’universale, investigare nell’interiorità dell’uomo equivale ad estendere il proprio sguardo verso il generale. Un po’ quello che, più prosaicamente, rilevava Roberto Benigni, durante le sue acclamate lezioni sulla Commedia, ricordandoci che Dante non è attuale, ma è più avanti di noi: dialoga oltre la storia, per ogni epoca.
Ed è proprio Dante, ancora una volta, a svelarci un singolare punto di vista sul presente, che gli occhi miopi dei contemporanei rischiano di non vedere. Stiamo parlando di un passaggio decisivo nel XXXIV canto dell’Inferno, quando Virgilio, non a caso simbolo della ragione umana, della saggezza, della guida lucida e rassicurante (benché in diversi passaggi del viaggio ultramondano lo sorprendiamo, anche lui, combattuto da sentimenti “umani”, come la rabbia, l’abbattimento, una specie d’innervosito disappunto), ormai al compimento dell’esperienza dei gironi Malebolge e dell’ultima zona della Giudecca (giacché «tutto avem veduto»), invita Dante a farsi coraggio, a riprendere il cammino «ascoso», ad avviarsi dentro la «natural burella», e quindi a sbucare nel Purgatorio, a «ritornar nel chiaro mondo», a riveder «le cose belle» e uscir a rimirar le stelle.
Cosa ci dice Dante in queste terzine esemplari?
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