Così, questa mia attuale condizione fluida e sospesa, mi riporta alla fragilità della costruzione del tempo, che nasce per la necessità di scandire, circoscrivere, perimetrare idealmente le cose per collocarle in una struttura mentale, che ci permetterà poi di ritrovarle, ricordarle e metterle in relazione, e dargli un valore.
Il fluttuare sembra annullarlo questo tempo, - che prima ci sfilava tra le dita come sabbia, non bastandoci mai - sembra annullare ogni ritmo, ogni corsa, ogni pretesa. Sembra dilatare tutto, fino quasi a farlo sembrare “eterno”, questo tempo. Quindi un non-tempo.
Mi sono chiesta, quindi, anche di questa coincidenza della pandemia con la Quaresima cristiana, in cui si compie quanto preannunciato dalle sacre scritture, e si conclude un tempo umano con l’apertura di uno squarcio di eternità dell’anima.
La speranza di essere qualcos’altro - che travalichi questa nostra limitata condizione immanente, che mai come adesso, come nei momenti di malattia che ci mettono di fronte ad una vicina o possibile fine - è sempre più presente e incalzante.
Mi rivedo ragazza - quando il sabato di quaresima lo percepii per le prime volte in modo più consapevole e maturo - con quella sensazione di solitudine senza immediata risposta, mentre passavo davanti alle porte delle chiese chiuse. La chiesa chiusa di sabato. Non c’è corpo, non c’è benedizione. Il vuoto dopo l’ultima cena e la morte di Cristo. Quello che provarono anche i discepoli - sgomenti dalla grandezza di quanto profetizzato e quasi impossibile, umanamente, da accettare – provati e privati dall’assenza fisica dell’abbraccio del maestro.
“Accadrà davvero?” – si chiedevano dentro di sé. Cosa sarebbe stato o sarebbe il mondo senza questa speranza di resurrezione? Sarebbe il vuoto lasciato dalla porta di questa chiesa chiusa, chiesa che non è fatta per essere chiusa. Sarebbe un luogo dello “stare insieme” che non lo è più, senza la presenza di Dio.
Questo senso di profonda solitudine mi colse come non immaginavo potesse essere.
Così porto con me questo vissuto della porta della chiesa chiusa del sabato santo, un tempo sospeso tra la morte e la speranza umana di resurrezione.
In quella Resurrezione c’era una promessa, che avrebbe dovuto renderci certi, e non solo speranzosi, in quel momento di sospensione in una bolla.
La bolla diventa allora il necessario momento di passaggio, di metamorfosi, di cambiamento delle mie fragili certezze umane in nome di una certezza vera, di un credo che, unico, potrà essere il motore di un nuovo agire. Il cambiamento ci è richiesto, perché serve a farci travalicare questo trasparente perimetro tra la speranza e la fede, tra la paura e l’attesa certa, tra la consapevolezza e l’azione.
Ecco.
Tutto, in questi giorni di separazione fisica dagli amici e dagli affetti più cari, mi fa pensare a questa pellicola trasparente, come quella dei tubi in cui portano in ambulanza i malati di covid-19, quella delle visiere che separano gli occhi dei medici da quelli dei pazienti, la madre dall’abbraccio al figlio. Una pellicola necessaria perché protettiva, ma anche istruttiva e che in questa nuova e contingente situazione storica attraversiamo solo visivamente, ma a breve diventerà daccapo qualcosa di meravigliosamente e necessariamente fisico. Noi lo dobbiamo credere, non solo sperare. Questa pellicola che ci separa, questa tuta, questa mascherina che ci nasconde il sorriso, che sembra togliere anche patria alle parole, è una pellicola che ci farà rinascere: nella certezza di quello che avremmo dovuto essere e potremo ancora essere nei giorni che seguiranno, di quello che non siamo stati capaci ancora di essere ed ora ci appare chiaro e lampante, di quello che ora dobbiamo perdonarci perché qualcuno, morendo, ci ha già perdonato. Di quello che avremo imparato da questa separazione in questa bolla e che avremo il dovere di far diventare novità quando questa bolla sarà scoppiata.
Allora potremo ritornare nello stesso mondo che vedevamo dietro questa pellicola, dietro i vetri delle nostre case, dietro le tende di plastica degli ospedali, e dal quale siamo stati temporaneamente separati, ed amarlo e rispettarlo come non siamo stati mai capaci di fare, sperando di trovarlo ancora benevolo.
Alessandra Scisciot
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