Leggere
Nero d’inferno (ultimo romanzo di
Matteo Cavezzali, Mondadori, 2019) è
un po’ come assistere ad un film dei fratelli Cohen.
Sei
catturato in un’atmosfera di potente affabulazione, magnetica, irresistibile,
dentro un racconto che ti incastra e ti coinvolge, nel senso letterale della parola, cioè ti
interpella, parla proprio a te, lettore, ti rende complice, come nelle più
antiche narrazioni orali, davanti ad un camino crepitante.
E allo
stesso tempo, accanto alla più antica tradizione narrativa, cioè quella della
oralità, ti trovi alle prese con un romanzo di straordinaria modernità.
Senza
dubbio, il segreto di tale seduzione narrativa, proprio come certi film dei
Cohen, consiste nel gioco corale che l’autore riesce a realizzare, nell’umanità
dei personaggi che riesce a presentarci, nella molteplicità dei piani di
scrittura che ci vengono offerti.
Si
parte, in effetti, da un plot di
grande forza evocativa, per poi diramare una ricca biforcazione di punti di
vista.
Siamo
immersi nella storia vera di Mario Buda (altrimenti noto come Mike Boda), nato
il 13 ottobre 1884 a Savignano sul Rubicone, sbarcato in America, a Ellis
Island, nel 1907 con il sogno di aprire un negozio di scarpe (da cui il titolo
del libro, che cercheremo di spiegare nei suoi sottili aspetti simbolici), ma
ben presto alle prese con la cruda realtà della civiltà capitalista, che lo
porta di giorno a scontrarsi col duro impietoso lavoro di fabbrica e di notte a
commerciare illegalmente whiskey nella New York del proibizionismo, finché si
avvicina alle idee del socialismo, conosce l’anarchico Luigi Galleani, si
ribella all’inferno e alle ingiustizie subite dagli operai, e arriva a compiere
il gesto per cui è passato alla storia, l’atto di terrorismo più tremendo che
fino ad allora gli Stati Uniti avessero subito: il 16 settembre 1920 Mike Boda
lascia un carretto all’incrocio tra Wall Strett e Broad Street, stipato di
dinamite e pezzi di metallo attaccati a un timer.
L’esplosione,
mentre la strada è gremita di gente, provoca 38 morti e 143 feriti.
Ebbene,
su questo primo livello di ricostruzione storica, che Cavezzali conduce con
sapiente maestria, riportando i resoconti dei giornalisti e degli avvocati che
si occuparono del caso, e le voci dei testimoni, s’impianta una ridda di
personaggi e di voci corali, che incrociarono il protagonista e che sono
tratteggiati con la grazia e la sensibile profondità del narratore di stazza
(difficile restare indifferenti, tanto per fare qualche esempio, alla “verità”
della madre, che «non riconosce più il proprio figlio»; o alla figura di
Matilde, con la quale il protagonista intreccia una struggente storia d’amore,
fatta di poetici codici privati, e fatalmente destinata al fallimento; oppure agli
intermezzi sugli italiani, così come erano “salutati” in America, «di piccola
statura, di pelle scura, puzzolenti, dediti al furto e violenti»; oppure ancora
ai personaggi di rilievo storico, che permettono all’autore di disegnare un
affresco efficace e plastico dell’America degli inizi secolo, da Nicola Sacco a
Bartolomeo Vanzetti e Luigi Galleani).
Si
delinea così il ritratto di un personaggio nel suo spessore umano e nel suo
dramma personale, tutt’altro che banale e stereotipato, bensì assai complesso, colto
da sensi di colpa, roso dalla rabbia e dalla sete di vendetta, dove il “nero
d’inferno”, diventa allo stesso tempo simbolo fiducioso del colore delle scarpe
preferite, il modello che vorrebbe produrre, ma anche simbolo negativo per contrasto
col verde delle ville dei ricchi, verso cui Buda nutre la sua animosa ostilità.
Ma
l’operazione letteraria di Cavezzali si spinge oltre.
Innesca
un incantevole meccanismo meta narrativo, che appunto ci riporta all’immaginario
dei Cohen, poiché al di sopra di questo duplice livello strutturale (la cronaca
dei fatti e le “verità” dei personaggi) se ne modella un terzo, evidenziato in
corsivo: si tratta di un io narrante (con ogni probabilità l’autore stesso),
che sta conducendo la ricerca storico-archivistica su Buda, da Savignano fino
agli Stati Uniti, rivolgendosi al personaggio, quasi pirandellianamente, con un
domestico “tu”, intrecciando anche episodi personali di lavoro e d’amore con
Martina, e quindi mettendo in mezzo, in qualche modo, anche il lettore,
invitandolo a prendere parte allo snodarsi degli avvenimenti.
Tale
strategia letteraria permette, fra l’altro, alla Borges, di aprire squarci
meditativi, magistrali momenti di riflessioni intimistiche, esistenziali,
liriche, attorno ai temi universali dell’identità («che ci faccio qui?»), della
forza delle parole, dell’amore e della morte.
Di
certo, un impianto compositivo di tale complessità, e al contempo di tale
spontanea semplicità, comporta apprendistato, mestiere, formazione, ma anche un
talento naturale, imperioso, onesto: tale è la forza affabulatoria di un libro
che, prima ancora di essere spunto di riflessione, è avvincente
intrattenimento.
Note
Il
romanzo verrà presentato alla Biblioteca Comunale di Imola, martedì 19 novembre
alle ore 20.30, nell’ambito della rassegna “Le forme del narrare” a cura della
associazione “Ippogrifo. Vivere la scrittura”. Assieme all’autore ne parlerà
Andrea Pagani.
Matteo Cavezzali è nato e vive a
Ravenna. Il suo primo romanzo, Icarus.
Ascesa e discesa di Raul Gardini (miminum fax, 2018) ha vinto vari premi
letterari, fra cui Premio Volponi opera prima, premio Stefano Tassinari, premio
Comisso. Ha scritto testi per il teatro e collabora con giornali e riviste. Ha
fondato e dirige il festival letterario ScrittuRa a Ravenna.
Andrea Pagani, è docente di
Letteratura, collaboratore di Zanichelli, presidente dell’associazione
culturale “Ippogrifo. Vivere la scrittura”. È autore di sette romanzi, e tiene
laboratori di scrittura creativa. Ha pubblicato una ventina di saggi sul
Cinque-Seicento e sul Novecento. Il suo saggio su Joyce Il cammino di Bloom. Sentieri simbolici nella Dublino di Joyce (Pàtron
editore, 2019), postfazione di Renzo Crivelli, è stato presentato durante le
celebrazioni del Bloomsday a Trieste, 2019. Sito ufficiale:
www.andreapagani.com
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