Era stata dalla parrucchiera, la signora Margot, e tutta impettita attraversava il parco tenendo stretto il guinzaglio del suo bulldog, che avrebbe voluto scorrazzare qua e là. «Piano, piano Renoir» diceva al suo cane guardandosi intorno e cercando di richiamare l’attenzione degli altri ospiti del parco.
Blady godeva di un forte rispetto nel suo mondo di grilli incantati! Le grille… no, anzi, i grilli femmina l'amavano e lui le conquistava tutte, addolcendo il suo frinire e facendosi fare la corte. Saltò dalla siepe alla panchina e poi su un oleandro; poi tentò di arrivare fino alla cima di un piccolo alberello in fiore, ma... aiuto! perse l'equilibrio e giù, si sentì catapultare in mezzo ad una giungla, impigliato tra tantissime liane, avvolto da un viscido olio profumato, e quando riaprì gli occhi...
(Perché li aveva chiusi? Un po’ era fifone il baldo grillo patron del parco!)
«Ma dove cribbio sono? Ma che piante sono questi orribili intrecci?» si chiese Blady mentre si dimenava per riuscire a liberarsi, poi un sussulto comincio a scuoterlo.
«Ommioddio, ma cos'è, il terremoto? Renoir, Renoir, ora che ci siamo un po’ riposati ci incamminiamo verso casa» disse Margot portandosi la mano alla testa per evitare che il vento scompigliasse la gonfia pettinatura. «Li voglio tutti cotonati» aveva detto alla ragazza in salone, quando era stato il momento di farsi la piega. «Come se tutto quel cespuglio in testa servisse a farla diventare più bella» aveva commentato la ragazza senza farsi sentire. La signora Margot ondeggiava continuando a guardarsi intorno, mentre piano si dirigeva verso il suo appartamento in via Luxemburg, a pochi passi dal parco.
«Eppure ci sarà un modo per uscire!» pensò Blady impigliato tra quell'unto e i capelli cotonati della vecchia signora.
Un giro di chiave e poi un altro, la signora Margot attraversò il piccolo corridoio, spinse il bottone verde e aspettò che l'ascensore arrivasse. Abitava all'undicesimo piano.
Margot era vedova e viveva con Renoir. «Unico amore» diceva alle amiche, anche se in verità avrebbe voluto sostituire il defunto marito già da un po’. Margot entrò in ascensore e Renoir la seguì accucciandosi nell'angolo alla sua destra.
«Ma dove cribbio siamo?» urlò Blady, come se qualcuno potesse sentirlo. Comincio a tirare forte, sempre più forte, si fece forza con le zampette davanti e via! Riuscì a sganciarsi da quel grovilglio, scivolò giù sulla sciarpa della donna che sapeva di muffa e cadde giù fino ai suoi piedi. «Che orribili scarpe e che orribile fiocco di un orribile colore viola» pensò atterrando. E per sfuggire a quell'orribile mossa che quasi lo stava schiacciando, Blady si infilò in una griglia fatta di tante piccole fessure, e aspettò che la corsa finisse. L'ascensore si fermò e la vecchia signora con il cane scomparve. Sentì le porte chiudersi, e fu allora che Blady si affacciò piano dalla fessura e cercò di guardarsi intorno per capire dove fosse capitato. Quattro mura di acciaio, una tastiera con tanti bottoni, uno specchio e una puzza di piscio di cane: doveva essere stato Renoir, pensò Blady arricciando il naso.
Sbucò fuori e piano cominciò a saltellare, ma era tutto grigio là dentro, e le pareti scivolose lo facevano cadere ogni volta che provava a saltare. «Che posto è questo? Una scatola d’acciaio, ma che noia!» pensò, rimpiangendo già i suoi verdi prati e i piccoli arbusti sui quali aveva imparato a saltare così in alto. No, perché c'è da sapere che non tutti i grilli sanno saltare in alto... Ma Blady era un po’ palestrato, un figo insomma.
La grande scatola in acciaio si mosse e Blady tornò nel suo nascondiglio segreto. Un ragazzo con la chitarra e dai lunghi capelli entrò di fretta e le porte si chiusero. «Sarà un parente di Renoir» pensò Blady avvolto dall'odore che si era creato nell'aria, e poi giù fino a terra. La porta si aprì e si richiuse e poi si riaprì! «Ah però» urlò Blady. Stavolta avrebbe voluto che lei lo sentisse: quella che entrò fu una ragazza alta, bionda e bella, veramente bella! «Ah però» ripeté «che bonona!» Lei si guardò allo specchio e si diede il rossetto, si tirò una ciocca di capelli sull'orecchio e scese al sesto piano, lasciando tra le mura d'acciaio un grillo con gli occhi di fuori. Poi ad un tratto nessun rumore, soltanto silenzio.
Blady si andò a rifugiare nella sua piccola dimora: c'era un po’ di polvere lì dentro ed era buio, non c'era nemmeno un buco dal quale scappare. Blady si sentì prigioniero e pensò che sarebbe rimasto intrappolato per sempre.
Quella notte sognò di ammazzare la vecchia signora con i capelli cotonati.
Passava il tempo e Blady pensava alla fuga, ogni volta che le porte si aprivano avrebbe voluto saltare fuori e arrivare al suo parco. «È troppo pericoloso» pensava, e come un prigioniero condannato all'ergastolo in un carcere di massima sicurezza tramava la fuga, ma intanto non si abbatteva, e quasi cominciava a sentirsi di casa. Ormai conosceva tutti, in quel palazzo di Via Luxemburg: la bonona andava dall'avvocato al sesto piano, erano amanti, lo aveva sentito dire dalla signora delle pulizie, la Carmen. In realtà si chiamava Carmela ma si faceva chiamare Carmen, anche lei un soggetto! Sempre con quel secchio in mano e su e giù per le scale a pulire. «Quando arriva questa mi fa venire il mal di mare» si lamentava Blady dietro la fessura del suo appartamentino dentro la griglia. «Figurati se esco, questa mi schiaccia solo con il respiro.»
Quando la Carmen era in ascensore si aggiustava la scollatura, tirando indietro le spalline del reggiseno «Figurati chi ti si fila!» (In realtà pensava chi ti si caga) «Non sei troppo aggraziata, bella de zio» (un cesso, direi!). Una volta però con il professore, quello dell'ultimo piano... No, no, questa non ve la posso raccontare. E Margot? Anche lei non era solo nei suoi sogni omicidi, andava su e giù con Renoir e finalmente aveva trovato un omino basso e grassotto. Il Ranocchio, cioè, volevo dire il principe, andava a trovarla spesso; ogni volta che saliva in ascensore si controllava i peli nel naso. Tra le mani stringeva una bottiglia di vino, e a volte portava un mazzo di fiori. «Miii che romantico, magari era meglio regalarle una piastra per capelli» pensava ogni volta Blady. Quei capelli arruffati lo avevano fatto prigioniero, quel giorno nel parco. Era stato rapito da quei prati orami da tempo, e ora cominciava a sentirsi un borghesotto curioso, che abitava in quelle quattro mura di acciaio in una piccola griglia.
<< Sono tonico, sono tonico» cominciò a saltellare Blady, «qua perdo i muscoli se non mi alleno!» Cosi la notte la moquette diventava una palestra.
Blady cenava con qualche moscerino scappato dai grappoli d'uva della fruttivendola: lei si portava a casa l'uva marcia, «Che scema!» e quella buona la vendeva! «Ma almeno ho la cena assicurata.»
Blady sperava che alla fruttivendola invornita qualche volta cadesse una fogliolina di lattuga o di radicchio, ma questo succedeva di rado.
…allora, tornando al figo: la notte faceva esercizi aerobici, e uno e due, poi quando era stanco si sdraiava sulla polvere, che ormai era così alta che gli faceva da materasso. «E qui ci vuole un’idea, cazzo!», era l'ultimo pensiero tutte le notti prima di dormire. «Non invecchierò qua dentro, ho la libertà a pochi metri».
Addormentandosi sognava sovente una bara di colore viola con dentro la vecchiaccia, la bara era portata a mano da quattro uomini con la cravatta viola, veniva posta nell'ascensore e lui si vedeva aggrappato a uno dei maniglioni dove nessuno riusciva a vederlo...
«Ohi, cribbio, chi è a quest'ora, ma ‘sta gente non dorme mai?» disse Blady svegliandosi di colpo. Qualcuno aveva chiamato l'ascensore al piano terra. Era la figlia dell'avvocato. «Vero!» pensò Blady: non l'aveva vista ancora rientrare.
«Amore» sussurrò il biondino tenendola per mano sulla porta dell'ascensore, «amore, dai, ancora un bacio» ma lei si apprestò ad entrare e per fermare le porte che accennavano a chiudersi, lui, allungò la gamba e si mise a cavallo della porta. Una enorme scarpa blu, (Nike, direi) e un paio di jeans con un alto risvolto era quello che appariva alla vista di Blady, sporto dalla piccola fessura, ma fu come se avesse visto una zattera e un mare che lento cullava il relitto. «Facciamo i bagagli, belli» disse urlando: non c'era nessuno con lui, ma faceva scena quella frase. «Stanotte si parte!» Chiuse gli occhi, e mentre i due colombini continuavano a baciarsi, saltò nella piega stropicciata dei jeans del biondino. «Ora basta» disse la ragazza quando si accorse che lui allungava le mani palpandole il seno, e lo spinse via. Le porte si chiusero e un rumore annunciò la risalita. «Ohi, ohi bello! Vabbè che non te l'ha data, ma non ci agitiamo» cricchignava Blady aggrappato al risvolto dei pantaloni, cercando di non cadere per colpa dei passi veloci del tipo, che uscendo sbatté il portone con forza, attraversò la strada e si diresse verso il bar all'angolo. «Ecco ci siamo… ci siamo!»
Bastò fare una capriola dal risvolto dei pantaloni e... giù per terra! quando a gran velocità arrivò un' orribile macchina di un orribile colore viola.
«CRIBBIOOO! Ma dove va questa vecchia pazza a quest'ora di notte?» urlò Blady certo di essere arrivato dritto in paradiso, a giudicare dalle stelle che vedeva luccicare davanti ai suoi occhi.
L'erba colava di rugiada della notte e Blady cominciò a saltare qua e là. (Be’, saltò lentamente, dato che aveva almeno un paio di costole incrinate).
Le grille accorsero impazzite e lui le salutò inchinandosi, come un bravo borghesotto del parco.
Maria Mancino
Bello. Onirico.
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